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Perché nessuno al lavoro “ha mai tempo”?

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“Il lavoro si espande fino a riempire tutto il tempo a disposizione per completarlo.”

Cyril Northcode Parkinson

Questa geniale intuizione è l’incipit del bestseller “La legge di Parkinson”, di Cyril Northcode Parkinson.

L’autore, molti anni fa , aveva ipotizzato che vi fosse nei manager una spinta motivazionale che porta alla gerarchizzazione delle aziende e alla creazione di complessità avendo, come conseguenza, la saturazione del tempo di lavoro e la continua domanda di nuove risorse.

I funzionari, sosteneva Northcode Parkinson, tendono a premere per moltiplicare le risorse a loro subordinate allo scopo aumentare il proprio potere ma soprattutto per non veder crescere il numero dei rivali.

Raggiunto un certo numero di risorse il team diventa poco gestibile, e come conseguenza si creano ulteriori livelli manageriali che da un lato gratificano il subordinato che diventa – a propria volta e al proprio livello – un gestore di risorse, dall’altro gratificano il manager che, aggiungendo un livello, aumenta la distanza rispetto all’ultima linea esecutiva.

I sub-teams tendono quindi a definire con molta precisione il proprio contributo funzionale, specificando cosa è di propria competenza (e difendendo questo perimetro da qualsiasi ingerenza esterna), ma soprattutto cosa a loro non compete, iniziando il rimpallo sulla ownership di task e action, ben noto a chi ha vissuto nei contesti corporate, in cui ci si lamenta sistematicamente che ci siano state “scippate” attività di “nostra competenza”, mentre ci vengono “affibbiate” attività “che non ci competono”.

Gli strumenti di comunicazione moderni come la posta elettronica invece di aver contribuito a risolvere questi problemi li hanno paradossalmente peggiorati: con pochi clic del mouse si possono includere in copia visibile o nascosta decine di colleghi, imponendo il ricatto della conoscenza (= “eri in copia”).

La email perde quindi il suo connotato originario di strumento di facilitazione e diventa un vero e proprio incubo, con le righe in grassetto dei messaggi non letti che non si riescono mai a smaltire.

La dispersione di mansioni e responsabilità tra i sub-teams genera la proliferazione di meeting, briefing, check-point, reviews, update, stati avanzamento lavori e steering committees, in quanto, a un certo punto, si sente la necessità di “allinearsi”, salvo poi, al termine di interminabili riunioni, rendersi conto che il risultato spesso è di un maggiore disallineamento.

Nelle minute delle riunioni viene normalmente aggiornato l’action log, in cui vengono riportati tutti i task, spesso anche a livello micro, che impongono a un action owner di smarcare il singolo task entro una certa due date.

Le persone restano quindi schiacciate dalla pressione delle overdue action, dalla continua richiesta di partecipare a riunioni, dalle continue interruzioni di colleghi che sollecitano risposte alle azioni in sospeso in quanto molti processi, eccessivamente serializzati, non possono procedere se non dopo il completamento di un’attività che precede.

L’unica difesa che sembra possibile per molte persone è quella del dichiarare di “non avere tempo”, implicando quindi la necessità di reclutare nuove risorse che, come abbiamo visto, finiscono per aumentare la complessità del sistema e assorbono, rapidamente, tutto il “nuovo tempo” creato.

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