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Il tempo di lavoro 9-17 ha ancora senso?

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Al momento della redazione di questo articolo (Gennaio 2022), il dibattito nelle aziende è incentrato sulla necessità o meno di accelerare il rientro fisico in sede delle risorse, una volta terminata la fase emergenziale, tornando alla regola della compresenza con l’eccezione del giorno o due di smart working per ciascuna settimana.

Uno degli argomenti che viene spesso portato come motivazione per un ritorno allo status quo ante è che la segregazione tra tempo di lavoro e tempo libero è un aspetto fondamentale della libertà individuale.

Ancora una volta le voci tra rappresentanze datoriali e sindacali, almeno parzialmente, si sovrappongono: i primi perché sostengono che nella commistione tra i due momenti c’è perdita di focus, e quindi di produttività, i secondi perché rilevano che il lavoratore viene sotto-posto allo stress di essere sempre on-line, mettendo a rischio il proprio riposo e la propria vita personale, familiare e sociale, quel tempo non lavorativo così faticosamente conquistato con battaglie secolari.

Ma se entrambe le parti si impegnano a difendere il proprio perimetro e mantenerlo segregato, nella pratica sempre più consolidata, questo confine è diventato sempre più sfumato, con e-mail inviate e ricevute negli orari più “anomali”, con partecipazioni a conference call in giorni di ferie, con serate trascorse a fare zapping tra le serie televisive e il power point da consegnare entro la mattina seguente.

Perché questo avviene? Donadio, autore dell’interessante saggio Smarting Up!, Franco Angeli, Milano, 2018, vede due categorie di risposta. La prima riprende la metafora della persona liquida nelle organizzazioni solide:

Presenzialità in meeting inutili e dispersivi, continui cambiamenti organizzativi, contesti caratterizzati da ipercomunicazione e relazione, generano la perdita continua di tempo utile al compito che poi viene recuperato dove possibile.

La liquidità adattiva della persona si poggia sul senso di responsabilità di questa, che, orientata al fine ed al risultato, decide, invece di tentare di cambiare l’organizzazione, di erodere il proprio tempo personale.

La seconda spiegazione ha a che vedere con la realizzazione professionale.

Alcune persone desiderano crescere nella gerarchia aziendale come scopo primario e sono disposte a sacrificare il proprio tempo personale in funzione di questa aspirazione.

I progetti di vita diversi dal successo professionale vengono differiti a una non meglio precisata epoca successiva, più o meno identificata nel tempo.

Impegniamo, investiamo, del nostro tempo personale spostando il beneficio di worklife balance in avanti, quando quella competenza sarà diventata capitalizzabile.

Non è una questione che riguarda solo le giovani generazioni, che, anzi, osservandole più da vicino mostrano una propensione molto meno liquida di questa divisione, forse avendo “subito” le assenze di genitori molto impegnati nel tempo personale a lavorare.

Possiamo quindi sostenere che di fatto il confine tra lavoro e tempo libero è stato già da tempo e di fatto messo in discussione, per essere poi ulteriormente sfumato dalle modalità di lavoro emergenziale imposte dal contesto pandemico.

Si tratta adesso di prendere atto di quello che già sta accadendo e portarlo alla luce del sole, con una discussione su un piano più alto di revisione dei modelli organizzativi e in generale del tema della relazione persona-organizzazione.

Certamente, oltre al crescente interesse accademico che notiamo nei contesti di economia, sociologia e psicologia del lavoro e delle organizzazioni, si assiste a tutto un fiorire di interviste, video e contenuti on line proposti da opinion leader di primo piano che influenzeranno in modo non marginale l’evoluzione degli archetipi aziendali.

In un’intervista concessa al Wall Street Journal Elon Musk, ad esempio, invita i CEO delle aziende a spendere meno tempo con i meeting, i fogli excel e le presentazioni PowerPoint, e a dedicare più tempo a interagire con i collaboratori e i clienti, lasciando le torri d’avorio perché:

Nobody bleeds with the prince in the palace. Get out there on the goddamn front line and show them that you care, and that you are not in some plush of-fice somewhere .

Possiamo quindi concludere che l’orario fisso scomparirà e il tempo verrà utilizzato in modo diverso?

Personalmente ritengo che l’inizio e la fine del tempo di lavoro non verranno rimossi in modo radi-cale, ma, come vedremo nei prossimi capitoli, l’uso del tempo sarà sempre più oggetto di scelte in continuo, con approccio di self-management da parte delle risorse, di qualsiasi livello e grado di responsabilità, che definiranno in crescente autonomia lo switch-on e lo switch-off lavorativo, anche in funzione dell’altra fondamentale dimensione in grande evoluzione, che è quella dello spazio di lavoro, tema che trovi descritto in altri articoli della categoria “Smart Organization” di questo blog.

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